Incontri ravvicinati con il colore
L’arte di Leonardo Pappone
La ricerca di Leonardo Pappone, artista di intuizione e di robusta formazione autodidatta, si produce secondo un processo di contaminazione che allea elementi di rigore geometrico ad evocazione “urbarchitettonica”. Al riscontro dei suoi lavori – e, con maggiore pertinenza, del ciclo di opere dal convulso dedalo grafico – si percepisce una certa esigenza, matura e ponderata, di provocare una sintesi dei due termini, annullando il portato razionale nel contenimento dell’immagine al fine di un risultato unitario, in vero con esiti inediti e di assoluto lirismo.
Il tema da egli trattato, che certo richiama la dominante attenzione per il modulo compositivo del Cabaret Voltaire – quasi un’indagine sul rapporto spazio-volume che gli deriva dall’epigonismo di talune postavanguardie attive – si rivela mutuando l’esperienza cromatica di suggestione naïf, ripercorrendo nel tempo gli eventi intellettuali salienti della stagione del modernismo.
Pappone, nondimeno, ha al suo attivo un percorso di sublimazione delle masse, dove le entità di certi ingombri si compendiano tra prospettiva e tridimensionalità, originando un personalissimo ismo, pur a tratti contiguo al magistero dei grandi dell’arte primitiva e del graffitismo. Pappone, tuttavia, si mostra abile nel fondere invenzioni proprie e contaminazioni, aderendo al rigore concettuale plastico di certe rêveries del Novecento, che merita di essere valutato per l’originalità del suo apporto agli sviluppi dell’arte del XXI secolo e per la sua capacità di anticipare soluzioni prospettiche di rimodulazione.
Ma ciò che ad un primo approccio potrebbe dissimulare un trastullo grafico, ad un’indagine più attenta l’arte di Leonardo Pappone si rivela il prodotto sofisticato di una compostezza ideativa di matrice pop. A questa cifra stilistica, legata anche alle forti impressioni dell’opera di Mattia Moreni e di Giorgio Chiesi, Pappone unisce una peculiare visione del richiamo all’ordine e della rivisitazione serrata dei lessici preclassici. Le linee si condensano allora in aderenza agli elementi superflui, dove la rarefazione e l’ampiezza della composizione si lega ad una sotterranea esigenza di perfezione costruttiva, ad un canone di filtrazione e di possente sintetismo. Ecco allora il ciclo dello skyline e delle visioni metropolitane transoceaniche, straordinaria presenza stereometrica della figura nello spazio, soluzione plastica dalla resa monumentale e dilatata nel tempo.
Nella sua metamorfica e, in un certo senso, affabulatoria incursione su territori divisionisti, Pappone imposta con rigore i rapporti proporzionali e dimensionali delle sue opere, inserendoli nel ductus narrativo con la levità ed il candore farsesco della protesta; gli elementi grafici mutuati dalla Street art diventano allora l’espediente per il dripping ispirato dai grandi murales delle periferie urbane e dall’allucinazione dei writers e dei geni dell’animazione e del fumetto.
In anni che spesso per l’arte sono stati sotto il segno della noia, se non della decadenza, dove mode, costumi, “false avanguardie” prima e “false accademie” poi, hanno imperversato e dominato, Pappone ha portato avanti il suo lavoro con assiduità, magari con gli alti e bassi, le riuscite ed i cedimenti propri di ogni artista, ma sempre con un travaglio e una coerenza esemplari, scegliendo e fermando sulla tela sempre e solo le immagini più vibranti degli incanti figurativi che trascendono l’apparente e che ti offrono i suggerimenti e le direttrici più suggestive.
La parabola artistica di Leonardo Pappone pare dunque dispiegarsi attraverso il ruolo che la critica eminente ascrive alla sua capacità di farsi interprete di un percorso che va dall’astrazione bituminosa di Ennio Morlotti sino alla dimensione onirica di Walter Crane, nonché della produzione intemerata di certe invenzioni in cui egli non esita a confrontarsi, memore della lezione e della matericità frenetica dei due Pollock.
Ma su tutti si erge per l’artista la laconicità e l’ineffabilità della tavolozza pluridirezionata di Emilio Vedova che con la sua spettralità surreale ed inesausta sembra indicare a tutti e a ciascuno la strada più affine alla ricerca di Pappone, nel quale il far pittura riconduce al tormento interiore di apparire antico nel suo modernismo.
Massimo Rossi Ruben